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Il Progetto Amico secondo il Modello Empatico Relazionale

Empathetic Relation Model (ERM)

 

Gentilissimi Colleghi, Genitori, Famiglie, Operatori…

 

quest’estate alla luce degli ultimi risultati delle ricerche che con i miei Collaboratori sto portando avanti ho creduto opportuno modificare e produrre alcuni cambiamenti al "Progetto amico, progetto che propone un atteggiamento relazionale, modalità comunicative ed azioni di mediazione strumentale e relazionale facilitanti lo sviluppo cognitivo ed affettivo di persone con deficit, ricongiungendosi con l’ipotesi integrata di autonomie, socializzazione e apprendimento. Il progetto è rivolto a realizzare percorsi conoscitivi e di potenziamento di competenze sociali e relazionali (supportati da un Operatore Specializzato, denominato Operatore-Amico, con la costante supervisione dell’Insegnamento di Pedagogia Speciale) all'interno di un sistema di interventi finalizzati al superamento degli handicap che i deficit propongono nell’ambito delle ricerche sull’”Emozione di conoscere ed il desiderio di esistere”.

Con la denominazione "Progetto Amico" tale intervento si è venuto a ritrovare, nel tempo, con un universo di altre azioni denominate allo stesso modo, ma con e per finalità del tutto dissimili.

Per lo più la denominazione “amico” l’ho ritrovata utilizzata nominalisticamente (senza sottostanti costrutti scientifici). L’ho trovata in un uso prevalentemente ideologico  per richiamare alla mente i  positivi che tale definizione evoca (una sorta di contrasto con “nemico”) e non per riferimenti metodologici e pragmatici per orientare e caratterizzare modi di intervenire adeguati con consistenze scientifiche nei progetti educativo-didattici.

Sotto la denominazione progetto “amico” ho ritrovato un utilizzo della definizione artificioso e con finalità suggestionanti alla stessa stregua con cui parole come naturale, genuino, puro, schietto, biologico, sincero,vergine, candido, … vengono utilizzate per le campagne pubblicitarie.

 

Ho ritrovato anche progetti denominati “amico”, con qualche barlume di somiglianza dichiarata negli scritti, ma praticati in modalità totalmente differenti, di frequente del tutto discordanti  e in particolare assolutamente fuori da un sistema di ricerca-formazione-azione come utilizzato nelle azioni con consistenze rigorose  a cui mi riferisco.

Una denominazione meramente somigliante nominalisticamente, per cui mi sono sentito in dovere di mettere in allerta le famiglie dalle definizioni ingannatrici. Definizioni pubblicitaristiche che hanno rischiato  di far perdere, snaturandola, l’autenticità del Progetto “amico”. Questo fondato sul piano teorico-metodologico e su rigorose prassi valutate e verificate permanentemente con determinati e concordati protocolli.

Data la presenza di somiglianze meramente nominalistiche in un universo di altri interventi etichettati allo stesso modo, per evitare che vi sia confusione e impostura nelle scelte progettuali a danno delle famiglie,  ho sentito l’obbligo:

  • sia di evidenziare le profonde caratteristiche dell’originale, autentico "Progetto amico”,

  • che di caratterizzarlo qualificandolo ulteriormente quale “modello empatico relazionale”.

 

Pertanto, lo sottolineo, per i motivi sopra tratteggiati, l’autentico Progetto pur mantenendo la denominazione “amico” questa sarà accompagnata dalla esplicazione: “Modello Empatico-Relazionale”.

 

Approfondendo gli studi di Vygotskij, che sono tra i riferimenti di base del Metodo Emozione di Conoscere ho incontrato Stanislavskij e il come questo sia stato un grande riferimento per aiutare a penetrare nei segreti del pensiero e del linguaggio, studi a cui Vygotskij ha dedicato il centro delle sue riflessioni.

In una dimensione differente io mi sono rincontrato in luglio con l’attore Emanuele Montagna e gli ho proposto, quasi tendendogli una trappola, di venire con me a spiegare e a far vivere agli operatori e alle famiglie quella forza che il teatro, le rappresentazioni, i film,… attraverso le emozioni e l’empatia, trasmettono trascinando il pubblico al sorriso, alla tristezza, al pianto,… al coinvolgerlo in atmosfere, contesti e situazioni, come se questi fossero reali. Un implicare l’altro emozionalmente facendogli comprendere condizioni e fatti attraverso l’empatia. L’attore Emanuele Montagna è caduto nella trappola e il 13 luglio 2012, abbiamo insieme percorso presso l’Università, in Aula Magna, un itinerario nel mondo dei fatti attraverso le emozioni, nel mondo del pensiero e del linguaggio attraverso l’empatia, implicando con noi operatori e genitori.

Le azioni sceniche, l’arte dell’attore, i contenuti scientifici, le spiegazioni dei percorsi di ricerca, magicamente (la stessa magia che emana l’apertura delle quinte a teatro) hanno prodotto profonde riflessioni. Come si dice in teatro un successo, un successo che ha coniugato scienza e l’arte del rappresentare. Gli operatori, le famiglie e i colleghi presenti hanno potuto vivere questi momenti si può dire per caso in quanto tutto è nato da una mia trappola (suggerita da Vygotskij) e dall’integrazione che Vygotskij ha prodotto nei suoi studi tra pensiero, linguaggio e azioni sceniche (riporto una porzione corposa delle riflessioni di Vygotskij su Pensiero e Linguaggio che costituiscono lo sfondo epistemologico all’azione formativa che con Emanuela Montagna abbiamo prodotto in Aula Magna - il lettore troverà degli errori in quanto è una scannerizzazione del testo). Dal giorno successivo vi è stato un susseguirsi di e-mail e di richieste da parte dei colleghi, operatori, famiglie, studenti,… i quali mi hanno richiesto un laboratorio più ampio per riproporre in una condizione più ampia l’esperienza del persuadere, affascinare e sedurre. Un imparare quindi lasciandosi persuadere, affascinare e sedurre dalle atmosfere dell’emozione di conoscere e del desiderio di esistere. Il rivisitare e il dover ripresentare in maniera forte il progetto-amico ridenominandolo quale modello empatico-relazionale è l’occasione per ripresentarlo con quelle condizioni che ne mostrano agiti i modi e le strategie. Pertanto sarà riproposto il laboratorio avendo come canovaccio il modello empatico-relazionale il quale offrirà lo spunto per uno spettacolo tra scienza e teatro. La dimensione empatico-relazionale del rivisitato Progetto Amico si cercherà di farla vivere e comprendere attraverso l’empatia.

 

Bologna, 2 ottobre 2012

 

prof. Nicola Cuomo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Metodo Stanislavskij

Scuola di Teatro Colli

 

 

Stanislavskij in Vygotskij

L. Vigotskij Pensiero e linguaggio ed. La Terza

Cap 7 (ultime 5 pag.)

 

Gli autori di teatro si so­no scontrati verosimilmente prima degli psicologi con questo pro­blema del pensiero che si nasconde dietro le parole. In particolare, nel sistema di Stanislavskij troviamo un tentativo di ricostruire il sottotesto di ogni replica del dramma, cioè di scoprire il pensiero e il desiderio che stanno dietro ad ogni espressione. Riprendiamo di nuo­vo un esempio. Cackij dice nella conversazione con Sofia: «Beato chi crede, riscalda il suo cuore». Stanislavskij intese il sottotesto dì questa frase con il pensiero [mysl']: «Cessiamo questa conversazione». Però potremmo inten­dere la stessa frase come se esprimesse un altro pensiero: «Non vi credo. Dite delle parole consolatrici per placarmi». O potremmo so­stituirvi ancora un altro pensiero, che potrebbe avere la sua espres­sione in questa frase: «Non vedete davvero come mi tormentate. Vorrei credervi. Per me sarebbe la felicità». Una frase viva, detta da un uomo vivo, ha sempre un suo sottotesto, che nasconde sempre il suo pensiero. Negli esempi fatti sopra, in cui cercavamo di mostrare la non coincidenza del soggetto e del predicato psicologici con quelli grammaticali, abbiamo interrotto la nostra analisi senza averla por­tata a termine. Un solo e medesimo pensiero può essere espresso in frasi diverse, come una stessa frase può servire ad esprimere pensieri diversi. La non coincidenza della struttura psicologica e della strut­tura grammaticale della proposizione è essa stessa determinala in pri­mo luogo dal pensiero espresso in questa proposizione. Dietro alla frase «L'orologio è caduto» come risposta alla domanda «Perché il pendolo si è arrestato?» potrebbe stare il pensiero: «Non è colpa mia se è accaduto, è guasto». Ma lo stesso pensiero potrebbe essere espresso in un'altra frase: «Non ho l'abitudine di toccare le cose de gli altri, stavo solo spolverandolo». Se il pensiero è una giustifica­zione, può essere espresso in una qualsiasi di queste frasi. In questo caso frasi differenti per significato possono esprimere uno stesso pensiero. Arriviamo così alla conclusione che il pensiero non coincide im­mediatamente con l'espressione verbale. Il pensiero non si compone di parole isolate, come il linguaggio. Se voglio rendere il pensiero che oggi ho visto un bambino con una camicetta blu correre a piedi nudi per la strada, non vedo separatamente Ìl bambino, separatamente la camicetta, non vedo separatamente che questa è blu, separatamente che è senza scarpe, separatamente che egli corre. Vedrò tutto questo insieme in un solo atto di pensiero [mysl'], ma lo decompongo nel pensiero in parole separate. Il pensiero [mysl'} rappresenta sempre un tutto, assai più grande in estensione e volume della parola sepa­rata. Un oratore spesso sviluppa un solo pensiero [mysl'] per parec­chi minuti. Questo pensiero è come un tutto nella sua mente e non compare affatto progressivamente, in unità separate, come si svilup­pa nel linguaggio. Ciò che nel pensiero [mysl'] esiste simultaneamen­te, nel linguaggio si sviluppa successivamente. Il pensiero (myst') po­trebbe essere paragonato ad una nuvola incombente che rovescia una pioggia di parole. Perciò il processo di passaggio dal pensiero [mysl'] al linguaggio è un processo estremamente complesso di decomposi­zione del pensiero e della sua ricostituzione in parole. Proprio perché il pensiero non coincide non solo con le parole, ma anche con i si­gnificati delle parole in cui esso sì esprime, la via dal pensiero [mysl] alla parola [slavo] passa attraverso il significato. Nel vostro discorso [rec'] c'è sempre un pensiero [mysl'] retrostante, un sottotesto cela­to. Poiché il passaggio diretto dal pensiero alla parola è impossibile, ma richiede sempre l'interposizione di una via complessa, ci si ram­marica della imperfezione della parola e ci si lamenta della incapa­cità di espressione del pensiero.

Come il cuore può esprimere se stesso, Come l'altro può comprenderti?

Oppure:

Se senza parole si potesse parlare dell'anima!

Per vincere queste lamentele si cerca di fondere le parole, crean­do nuove vie dal pensiero [mysl'} alla parola attraverso nuovi significati delle parole. Chiebnikov comparava questo lavoro all'apri­re una strada da una valle all'altra. parlava della via diretta da Mosca a Kiev senza passare attraverso New York, nominando se stesso l'in­gegnere della lingua.

Gli esperimenti dimostrano che, come abbiamo detto sopra, il pensiero {mysl'} non si esprime nella parola [slovo], ma si realizza nella parola, come nell'eroe di Uspenskij. Quello sapeva ciò che voleva pensare? Lo sapeva come quando ci si vuoi ricordare di qual­che cosa, sebbene questa non venga alla memoria. Ma era arrivato al pensiero in quanto processo? A questa domanda bisogna rispon­dere in modo negativo. Non solo il pensiero è medialo esternamente dai segni, ma è pure mediato internamente dai significati. Tutto sta nel fatto che la comunicazione immediata tra le coscienze è impos­sibile non solo fisicamente, ma anche psicologicamente. Essa può esser conseguita soltanto attraverso una strada indiretta, mediata. Questa strada consiste nella mediazione interna del pensiero prima attraverso i significati, poi attraverso le parole. Perciò il pensiero non corrisponde mai al significato diretto delle parole. Il significato media il pensiero nella sua strada verso l'espressione verbale, cioè la strada dal pensiero alla parola è una strada indiretta, internamente mediata. Ci resta infine da fare un ultimo passo conclusivo nella nostra analisi dei piani interni del pensiero verbale. Il pensiero non è ancora l'ultima istanza in lutto questo processo. Il pensiero [mysl'} stesso nasce non da un altro pensiero [mysl}, ma dalla sfera motivazionale della nostra coscienza, che abbraccia i nostri impulsi e le nostre mo­tivazioni, i nostri affetti e le nostre emozioni. Dietro al pensiero [mysl'} vi è una tendenza affettiva e volitiva. Soltanto essa può dare una risposta all'ultimo «perché» nell'analisi del pensiero. Poiché ab­biamo già paragonalo sopra il pensiero ad una nube incombente, che riversa una pioggia di parole, allora dovremmo, per seguire questo confronto immaginario, identificare la motivazione del pensiero con il vento che fa muovere le nuvole. Una comprensione reale e com­pleta del pensiero altrui è possibile soltanto quando scopriamo il suo retroscena reale, affettivo-volitivo. Questo svelamento delle motiva­zioni che portano alla comparsa del pensiero [mysl'} e ne governano il decorso può essere illustrato con l'esempio già usato relativo allo svelamento del sottotesto nell'interpretazione scenica di un ruolo. Dietro a ciascuna replica di un personaggio di un dramma vi è il desiderio, come insegna Slanislavskij, orientale alla realizzazione di obbiettivi volontari precisi. Ciò che in questo è costruito attraverso il metodo dell'interpretazione scenica, nel linguaggio vivo è sempre i] momento iniziale di ogni atto del pensiero verbale. Dietro ad ogni enunciato vi è un obbiettivo volontario. Perciò, parallelamente al testo del pezzo, Stanislavskij poteva annotare il desiderio corrispon­dente a ciascuna replica, che metteva in molo il pensiero (mysl1) e il linguaggio dell'eroe del dramma. Prendiamo ad esempio il testo e il sottotesto di qualche replica del ruolo di Cackij nell'interpretazione di Stanislavskij:

 

[...]

 

Per comprendere il linguaggio altrui risulta sempre insufficiente la comprensione delle sole parole, ma non [lo è] quella del pensiero dell'interlocutore. Ma [allo stesso tempo] la comprensione del pen­siero dell'interlocutore è una comprensione incompleta, senza la comprensione della sua motivazione, di ciò per cui è espresso il pensiero.

Anche nell'analisi psicologica di un qualsiasi enunciato arriviamo alla fine soltanto quando scopriamo quest'ultimo e più segre­to piano interiore del pensiero verbale: la sua motivazione. Con questo termina la nostra analisi. Cerchiamo di vedere con un solo sguardo ciò a cui siamo arrivati come suo risultato.

Il pen­siero verbale ci è apparso come un insieme dinamico complesso, in cui il rapporto tra pensiero e parola si è manifestato come un movi­mento attraverso tutta una serie di piani interni, come un passaggio da un piano all'altro- Abbiamo condotto la nostra analisi dal piano più esterno al piano più interno. Nel dramma vivente del pensiero verbale il movimento va in senso inverso: dalla motivazione [motiv] che fa nascere un pensiero [mysl1] alla formulazione di questo stesso pensiero, alla sua mediazione nelle parole del linguaggio interno, poi nei significati delle parole esterne e infine nelle parole. Tuttavia sa­rebbe errato ritenere che vi sia sempre soltanto quest'unica via dal pensiero alla parola. Al contrario, sono possibili i movimenti più svariati nei due sensi, sebbene essi non siano valutabili allo stato at­tuale delle nostre conoscenze su questo problema: passaggi nei due sensi da un piano all'altro. Ma sappiamo già in modo assai generale che è possibile un movimento che si interrompa in un punto qualsiasi di questa via complessa in una o l'altra direzione: dalla motivazione retrostante al pensiero al linguaggio interno; dal linguaggio interno a quello esterno, ecc. Nel nostro obbiettivo non v'era lo studio dì questi movimenti svariati che si hanno realmente nel percorso fon­damentale dal pensiero alla parola. Ci interessava solo una cosa ge­nerale e fondamentale: svelare il rapporto tra il pensiero e la parola come un processo dinamico, come la via dal pensiero alla parola, come la realizzazione e l'incarnazione del pensiero nella parola. Nella nostra ricerca abbiamo seguito per tutto il tempo una via un po' insolita. Nel problema del pensiero e del linguaggio abbiamo cercato di studiare il suo aspetto interno, celato all'osservazione im­mediata. Abbiamo cercato di analizzare il significato della parola, che per la psicologia è sempre stata l'altra faccia della luna, inesplo­rata ed ignota. Il senso e tutto l'aspetto interno del linguaggio, che è volto non verso l'esterno ma verso l'interno, verso la persona, è sta­to fino agli ultimi tempi un campo sconosciuto e inesplorato per la psicologia. Si studiava di preferenza l'aspetto fasico del linguaggio, che è diretto verso di noi. Perciò il rapporto tra il pensiero e la pa­rola, nonostante le interpretazioni più differenti, era sempre conce­pito come relazioni costanti, stabili, fissate una volta per tutte ira cose, ma non come relazioni interne, dinamiche, mutevole tra pro­cessi. Potremmo dunque esprimere il bilancio fondamentale della nostra indagine secondo la tesi per cui i processi, che si considera­vano connessi in modo immutabile ed uniforme, sono di fatto con­nessi in modo mutabile. Quella che prima si considerava una costru­zione semplice è risultata complessa alla luce della ricerca. Il nostro sforzo di distinguere l'aspetto esteriore e quello del senso del lin­guaggio, la parola e il pensiero, non aveva altro compito che quello dì cercare di mostrare in una forma più complessa e in una relazione più fine l'unità che rappresenta in realtà il pensiero verbale. La strut­tura complessa di questa unità, i legami e i passaggi complessi e mutevoli tra piani distinti del pensiero verbale appaiono soltanto nello sviluppo, come mostra la ricerca. La separazione del significato dal suono, della parola dalla cosa, del pensiero dalla parola sono stadi necessari nella storia dello sviluppo dei concetti. Non avevamo alcuna intenzione di esaurire tutta la complessità della struttura e della dinamica del pensiero verbale. Volevamo sol­tanto dare un'idea iniziale della grandiosa complessità di questa struttura dinamica e una prima idea, fondata su fatti ottenuti ed ela­borati sperimentalmente, sulla loro analisi e generalizzazione teori­ca. Ci resta soltanto di riassumere in poche parole la concezione ge­nerale dei rapporti tra pensiero e parola cui siamo arrivati come risultalo della nostra indagine. La psicologia associazionistica si rappresentava la relazione tra il pensiero e la parola come un legame esterno tra due fenomeni che si forma per via della ripetizione, in linea di principio analogo al lega­me associativo tra due sillabe senza senso nell'apprendimento per coppie. La psicologia strutturale ha sostituito la concezione di un legame strutturale tra il pensiero e la parola, ma ha lasciato intatto il postulato della non specificità di questo legame, mettendolo sullo stesso piano di qualsiasi altro legame strutturale tra due oggetti, ad esempio tra il bastone e la banana negli esperimenti con gli scimpan­zè. Le teorie che cercavano di risolvere in altro modo questo proble­ma si sono polarizzate intorno a due dottrine opposte. Uno dei poli è la concezione puramente comportamentistica del pensiero e del lin­guaggio, che ha trovato la sua espressione nella formula: il pensiero [mysl'} è il linguaggio meno il suono. L'altro polo è la teoria arci-idealistica sviluppata dai rappresentanti della scuola di Wùrzburg e da Bergson sulla indipendenza completa del pensiero dalla parola, sull'alterazione che produce la parola nel pensiero. «Un pensiero enunciato è una menzogna». Questo verso di Tjulcev può servire da formula per esprimere il fondo stesso di queste teorie. Da qui nasce l'ispirazione degli psicologi dì separare la coscienza dalla real­tà e, per dirla con Bergson, a spezzare la cornice della lingua, ad afferrare le nostre idee nel loro staio naturale, nella forma in cui le intende la nostra coscienza, libere dal dominio dello spazio. Tutte queste teorie, prese insieme, mostrano un unico punto in comune, che si ritrova in quasi tutte le teorie del pensiero e del linguaggio; un antistoricismo profondo e di principio. Esitano tutte tra il polo del naturalismo puro e quelle dello spiritualismo puro. Tutte conside­rano allo stesso modo il pensiero e il linguaggio al di fuori della sto­ria del pensiero e del linguaggio. Pertanto solo una psicologia storica, solo una teoria storica del linguaggio interno può portarci ad una giusta comprensione di tutto questo problema assai complesso e grandioso. Proprio questa via abbiamo cercato di seguire nella nostra ricerca. Ciò a cui siamo ar­rivati può esprimersi in pochissime parole. Abbiamo visto che la re­lazione tra pensiero e parola è un processo vivente di nascita del pen­siero nella parola. La parola, privata del pensiero, è anzitutto una parola morta. Come dice il poeta:

E come le api nell'alveare deserto un cattivo odore emanano le parole morte.

E il pensiero che non è incarnato nella parola, resta un'ombra stigia, «nebbia, suono e abisso», come dice un altro poeta. Hegel considerava la parola come un essere animato dal pensiero. Que­sto essere è assolutamente necessario ai nostri pensieri. Ma il legame del pensiero con la parola non è originario, un le­game dato una volta per tutte. Compare nel corso dello sviluppo e si sviluppa esso stesso. «All'inizio era il Verbo». A queste parole del Vangelo Goethe rispondeva con la voce dì Faust: «All'inizio era Fa­zione», desiderando così svalutare la parola. Ma, nota Gucman, an­che se con Goethe non si riconosce un valore eccessivo alla parola come tale, cioè alla parola sonora, e come lui si traduce il verso bi­blico con «All'inizio era l'azione», si può però accentuarlo in un altro modo e lo si considera dal punto dì vista della storia dello sviluppo: all’inizio era l'azione. Gucman vuoi dire cosi che la parola rappresenta per lui uno stadio superiore di sviluppo dell'uomo ri­spetto all'espressione più alta dell'azione; naturalmente, ha ragione. La parola non era all'inizio. All'inizio vera l'azione. La parola co­stituisce la fine piuttosto che l'inizio dello sviluppo. La parola è il fine che corona l'opera. Non possiamo, nella conclusione della nostra indagine, non sof­fermarci in poche parole sulle prospettive che si aprono sulla sua soglia. La nostra ricerca ci ha portato vicino alla soglia di un altro problema ancora più vasto, ancora più profondo, ancora più gran­dioso del problema del pensiero: al problema della coscienza. La no­stra ricerca ci ha portato, come si è già dello, a quell'aspetto della parola, a quel lato della parola, che, come l'altra faccia della luna, è rimasta una terra sconosciuta per la psicologia sperimentale. Ci siamo sforzati di analizzare il rapporto della parola con l'oggetto, con la realtà. Abbiamo cercato di studiare sperimentalmente il pas­saggio dialettico dalla sensazione al pensiero e di mostrare che nel pensiero si riflette la realtà in altro modo che nella sensazione, che il tratto distintivo fondamentale della parola è di essere il riflesso ge­neralizzato della realtà. Allo stesso tempo abbiamo toccato un aspet­to della natura della parola il cui significato va al di là dei limiti del pensiero in quanto tale e che in tutta la sua pienezza può essere stu­diato soltanto in seno ad un problema più generale: quello della pa­rola e della coscienza. Se la coscienza senziente e la coscienza pen­sante dispongono di modi diversi di riflettere la realtà, allora rappresentano pure dei tipi differenti di coscienza. Perciò il pensiero e il linguaggio sono la chiave per comprendere la natura della co­scienza umana- Se «il linguaggio è antico quanto la coscienza», se «il linguaggio è la coscienza reale, pratica, che esiste anche per altri uo­mini e che dunque è la sola esistente anche per me stesso», (se «la maledizione della materia, la maledizione degli strati d'aria agitati pesa sulla pura coscienza»,) allora è chiaro che non il solo pen­siero, ma tutta la coscienza nel suo insieme è legata nel suo sviluppo a quello della parola. Le ricerche fattuali mostrano ad ogni passo che la parola gioca un ruolo centrale nella coscienza nel suo insieme e non nelle sue singole funzioni. La parola è nella coscienza ciò che, secondo l'espressione di Feuerbach, è assolutamente impossibile per un solo uomo, ma è possibile per due. E l'espressione più diretta della natura storica della coscienza umana. La coscienza si riflette nella parola come il sole in una piccola goccia d'acqua. La parola sta alla coscienza come un piccolo mondo ad uno grande; come una cellula vivente ad un organismo, come un atomo al cosmo. Essa è un piccolo mondo della coscienza. Una pa­rola piena di senso è un microcosmo della coscienza umana.

 

 

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